
L’Additive Manufacturing spiegato ai non addetti ai lavori
Mi capita spesso di parlare di Additive Manufacturing fuori dal mio luogo di lavoro e, ogni volta che viene nominata questa combinazione di parole, l’espressione che fa il mio interlocutore non è certo di una (o uno) che ha capito di cosa stiamo parlando.
Questo breve articolo, infatti, vuole cercare di venire incontro a chi non conosce l’Additive Manufacturing o a chi ne ha un’idea molto vaga.
Che cos’è l’Additive Manufacturing
Quando mi hanno spiegato per la prima volta che cos’è l’Additive Manufacturing la mia espressione doveva essere del tutto simile a quella degli interlocutori a cui mi riferivo più sopra. Cosa sta dicendo questo? Ecco, un altro che usa termini inglesi! Ma parla come mangi che ti capiamo tutti! Additive che? Per le pulizie?
Additive Manufacturing (AM) sta per “Produzione Additiva”, e connota quel tipo di produzione che ha la peculiarità di aggiungere (“add”, dall’inglese, vuole dire “aggiungere”) strato dopo strato del materiale fino a comporre un prodotto finito. Questa tecnica di produzione si contrappone totalmente al metodo tradizionale ancora in massiccio uso oggi, e cioè la produzione sottrattiva. Per definizione, questo tipo di tecnica invece di aggiungere materiale per creare un oggetto, lo sottrae, lo asporta. Mentre la prima, quindi, poiché aggiunge del materiale, parte da una quantità di questo pari a zero, la seconda parte da una massa di materiale da cui asportarne pezzi fino ad ottenere la forma desiderata.

Se vogliamo fare un paragone efficace, pensate allo scultore che vuole realizzare una statua. Questi parte da una forma di materiale molto grossa (poniamo, a puro titolo esemplificativo, un cubo di granito) da cui incidere e intagliare il materiale fino a ottenere la forma desiderata che, ovviamente, avrà un peso minore a causa del materiale asportato.
Chiarito il significato del termine Additive Manufacturing, è necessario spiegare quali sono i macchinari che fanno produzione additiva.
Le stampanti 3D: è rivoluzione 4.0
Le stampanti 3D usano la tecnica di produzione additiva per realizzare oggetti finiti partendo da un disegno realizzato con uno dei tanti programmi di disegno meccanico (per i neofiti si chiama disegno CAD). Questo disegno viene caricato nella stampante 3D che, dopo aver settato alcuni parametri, inizia a depositare il materiale, strato su strato, fino ad ottenere la forma disegnata con il programma CAD. Molto semplice fin qui, vero?
La complessità dell’argomento stampanti 3D, però, risiede nelle varie tecnologie a disposizione, nel settaggio dei parametri di processo, nella scelta dei materiali e, ahimè, dalle barriere culturali che ogni nuova tecnologia si porta dietro.
Esistono decine e decine di case produttrici di stampanti 3D nel mondo, ma solo alcune di esse sono riuscite ad affermarsi per la stabilità delle parti stampate e per la loro qualità. Dividerei le stampanti 3D in due grossi insiemi: le stampanti 3D per la produzione e quelle per la prototipazione.

Additive Manufacturing: dalla prototipazione alla produzione
Quelle per la prototipazione sono state le prime, in termini di tempo, ad affermarsi sul mercato. Con i tanti, anche se non così performanti, materiali a disposizione sono diventate a partire dagli anni ’90 un utilissimo strumento per realizzare prototipi o oggetti finiti rivolti al mondo del design, dell’architettura fino al modellismo. Sono entrati nel settore manifatturiero solo marginalmente a causa del fatto che i materiali delle stampanti 3D per prototipazione non superavano gli standard richiesti dall’industria. Infatti, criteri come la stabilità fisica del materiale e la resistenza meccanica sono delle prerogative essenziali per le esigenze qualitative di chi fa produzione.
A partire però dal 2013-2014, la stampante 3D ha bruscamente cambiato i suoi connotati scoprendosi come uno strumento rivolto anche alla produzione di parti finali in settori dell’industria manifatturiera come l’Automotive, il Packaging, l’Automazione, l’Aerospace, e tanti altri fino al settore militare. Infatti, ciò che prima veniva realizzato solo in materiale polimerico, con scarse prestazioni in termini di durezza e resistenza a trazione, a partire da quegli anni si affacciano sul mercato delle stampanti 3D che realizzano parti in polimero ma che hanno livelli di resistenza meccanica pari al metallo (nello specifico, all’alluminio).
Tutto ciò scatenò un effetto sorpresa quando si scoprì che ciò che veniva fatto in alluminio si poteva fare in “plastica rinforzata” con la stessa garanzia di funzionamento ma in tempi e costi decisamente inferiori e, quindi, più competitivi.

C’è da aggiungere, e specificare, che la stampa 3D, o AM, non si propone di sostituire la tradizionale tecnologia estrattiva e le sue macchine a controllo numerico (CNC). Queste sono, e saranno, sempre insostituibili per le produzioni in serie o di massa. Se, però, si ha bisogno di piccoli lotti di produzione e di produrre parti molto complesse impossibili da realizzare con le CNC, allora qui diventano indispensabili le stampanti 3D industriali che fanno di queste esigenze la loro forza e specialità.
I produttori di stampanti 3D più noti divisi per tipo di materiale:
Clicca sulla tecnologia per avere maggiori informazioni su di essa.
Plastica rinforzata* | Tecnologia |
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Markforged | CFR |
*per plastica rinforzata si intendono quei materiali polimerici rinforzati con fibra lunga (o fibra continua) di Carbonio, Vetro e Kevlar.